«Stop alle traduzioni del termine Bourgogne, tante da rendere schizofrenici i consumatori». È l’ultima presa di posizione del Bureau Interprofessionnel des Vins de Bourgogne (Bivb) in difesa della lingua francese e dell’identità della regione vinicola, contro traduzioni come “Borgogna“, in italiano, “Burgundy” per gli anglofoni o “Burgund” nei Paesi germanofoni.
L’obiettivo è chiaro: «Per aiutare i consumatori a scoprirci occorre rendere finalmente le etichette dei nostri vini coerenti con il nome del vigneto in cui sono nati. È quindi essenziale mostrare un unico nome potente, sinonimo di eccellenza e rispetto delle origini: Bourgogne».
I vini della Borgogna godono di grande fama in tutto il mondo. Una bottiglia di vino su due viene finisce all’estero, in quasi 170 paesi. Tuttavia, secondo il locale Bureau, «più lontano vive il consumatore rispetto alla Francia, più fa fatica a capire il nostro sistema di denominazioni».
La presa di posizione riguarderò tutte le tipologie, ovvero circa 200 milioni di bottiglie di vino targato Borgogna, dal Borgogne al Crémant de Bourgogne, passando per Bourgogne Aligoté, Vin de Bourgogne, Grand vin de Bourgogne
«Abbiamo ritenuto necessario ripristinare il nostro nome originale, Bourgogne – spiega François Labet, presidente del Bivb – per affermare la nostra vera identità, nell’integrità del suo insieme. Direi che se le nostre appellations sono i nostri nomi, allora Bourgogne è il nostro cognome. Quello che ci unisce tutti, con i nostri valori comuni e tutte le diversità dei nostri vini. E un cognome non si traduce!».
Un appello già lanciato a livello internazionale ai rivenditori dei vini della Borgogna, tanto che «a poco a poco – riferisce il Bureau – le cose stanno cambiando e sta iniziando a comparire, sui media o su alcuni siti partner all’estero, la parola Bourgogne, in francese. anche nei testi di presentazione».
«I terroir che siamo chiamati a promuovere, spiegandone le identità in tutto il mondo – commenta Julien Camus, presidente della Wine Scholar Guild – non sono solo ancorati in un luogo geografico, ma anche in una realtà culturale e storica di cui la lingua è una componente fondamentale».
«Tradurre il nome di una regione – continua – toglie parte della sua identità. Questo è il motivo per cui sarebbe opportuno nominare sempre le regioni vinicole nella lingua dei loro abitanti. In alcuni casi, è l’accento che contribuisce a renderli unici».
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.